Farmaci, profumi, ammorbidenti e detersivi, shampoo e dentifrici, pentole e tessuti tecnici.
Sembra un elenco casuale di oggetti e prodotti, comuni nelle nostre case, che hanno poco in comune. Li utilizziamo praticamente tutti quasi ogni giorno.
Quello che li accomuna è il fatto che quando ci laviamo, o quando li laviamo, piccole quantità delle molecole che li compongono vengono rilasciate nell’ambiente. Sostanze che, insieme ai residui del nostro metabolismo, finiscono letteralmente… giù per il tubo.
In fondo a quel tubo ci sono i depuratori, e dopo i depuratori c’è l’acqua che, ripulita, torna nei fiumi, nei laghi e nei mari.
Le sostanze rilasciate da tutti i prodotti che abbiamo elencato hanno un nome: MIE, ovvero micro inquinanti emergenti. Emergenti perché sono stati “scoperti” – in realtà sarebbe più corretto dire presi in considerazione e studiati – solo recentemente. Micro perché sono presenti in concentrazioni molto basse, nell’ordine di nanogrammi, ovvero miliardesime parti del grammo, per ogni litro di acqua.
Sono quantità che sembrano trascurabili, tant’è che la maggior parte di questi composti non è normata dalle leggi che regolano il settore della depurazione delle acque, i limiti da rispettare per tutte le sostanze di natura organica, compresi questi composti, sono generici, con unità di misura per milligrammi per litro, insomma limiti un milione di volte più elevati rispetto alla loro reale presenza.

I problemi sono tre. Il primo è che in un depuratore non confluisce solo lo scarico di un’abitazione, ma di centinaia di migliaia di case, inclusi i residui delle attività industriali e commerciali. Il secondo è legato alla natura stessa delle molecole di cui stiamo parlando, così complesse che negli impianti di depurazione attuali, nella maggior parte dei casi, entrano ed escono tal quali, perché i processi oggi utilizzati ne consentono una rimozione irrisoria, a volte nulla. Il terzo problema è probabilmente il più significativo: è vero che queste molecole sono presenti in basse concentrazioni, ma i danni che possono fare sono potenzialmente enormi.
Ancora poco ci Sto arrivando! quanto possano alla lunga interferire con la vita acquatica, con i cicli vitali di fiumi, laghi e mari, e quindi entrare nella catena alimentare fino a tornare, alla fine, sulle nostre tavole.
Per rimuovere queste sostanze dalle acque reflue dei depuratori servono processi dedicati, come quelli che il Gruppo SIAD – con i suoi tecnici ed esperti del Laboratorio di Biologia e Chimica Ambientale, ha testato in un impianto campione nel milanese, all’interno del progetto PerFORM WATER 2030 . La loro attenzione si è concentrata soprattutto sulla rimozione dei residui di farmaci e delle fragranze presenti nelle profumazioni.
È stato proposto e testato l’utilizzo dell’ozono (O3), che è un forte ossidante, in grado di spezzare le molecole complesse per trasformarle in altre più semplici, da restituire all’ambiente recettore (fiumi, laghi e mari).

Il progetto ha dato l’opportunità di lavorare in continuità, per campagne di prelievi per una durata di circa 2 anni, all’interno del ciclo di trattamento delle acque: questo ha consentito di trattare le acque reflue dell’impianto di depurazione in ogni stagione, d’inverno quando più gente fa uso di farmaci, d’estate quando nelle case la doccia si fa più spesso, utilizzando maggiori quantità di saponi e profumi.
Per consentire di operare al meglio la società proprietaria del sito, Cap Holding (società pubblica che gestisce il servizio idrico integrato della Città metropolitana di Milano), ha inoltre ristrutturato e messo a disposizione dei Partner del Progetto un laboratorio, dove processare i campioni al momento dei prelievi.

A valle della sezione di filtrazione e a monte del trattamento finale di disinfezione con raggi UV, i tecnici SIAD hanno derivato una frazione delle acque, che sono state trattate con l’ozono in reattori chiusi, confermando che l’O3 è in grado di rimuovere fino al 100% la maggior parte di farmaci e fragranze.
Per alcune molecole più refrattarie all’ossidazione con solo ozono è stato testato anche un processo di ossidazione avanzata, con l’inserimento nel processo, al fianco dell’ozono, anche di acqua ossigenata.
Questa combinazione ha permesso di abbattere la concentrazione al temine del processo anche delle molecole più difficili: l’eliminazione si è assestata fra un minimo del 30 a un massimo del 90 per cento.
Risultati sicuramente incoraggianti che fanno ben sperare in un futuro di acque più pure e più sane.