Quando pensiamo a un impianto di depurazione ci vengono in mente le acque reflue raccolte dalle reti fognarie che trasportano gli scarichi delle nostre abitazioni. Ma anche gli scarichi di un’azienda hanno bisogno di essere depurati prima di poter reimmettere l’acqua nell’ambiente.

Nel caso particolare di un’azienda della provincia di Lecco che si occupa della pulizia dei metalli il procedimento di depurazione è simile ma non identico a quello delle acque reflue urbane.

In questa azienda viene eseguito il decapaggio, cioè un’operazione chimica che, attraverso l’utilizzo di acidi e altri agenti chimici, permette di eliminare dalla superficie dei metalli i residui di lavorazione e tutti gli elementi superficiali indesiderati come la ruggine, la calamina (ovvero lo strato di ossido che si forma sulla superficie durante le lavorazioni a caldo), eventuali tracce di olio o di sostanze organiche.

Per essere puliti i metalli vengono inseriti in vasche/bagni che contengono prodotti a base di acido solforico o cloridrico e altri additivi che possono, tra l’altro, contenere anche azoto.

Questi bagni, col passare del tempo, perdono il loro potere pulente e quindi devono essere sostituiti. Nelle vasche nel frattempo si sono accumulati i residui di lavorazione asportati dai metalli, insieme a tracce di sostanze organiche.

La calce aiuta a separare gli inquinanti

Il primo trattamento avviene aggiungendo e miscelando ai bagni la calce, operazione che viene tecnicamente definita “dosaggio di calce”.

In questi che vengono chiamati bagni di sedimentazione, miscelando la calce, si formano fiocchi simili a coaguli che fanno depositare sul fondo delle vasche tutte le sostanze ancora sospese nel liquido (principalmente ferro, tracce di zinco e sostanze organiche). Al di sopra rimane l’acqua.

Però quest’acqua, che prima era acida, dopo l’aggiunta della calce diventa basica. Per chiarire il significato di basico, semplificando, è come se l’acqua contenesse soda caustica, ed è quindi in grado di ustionare al pari di un acido.

Per questo motivo non può ancora essere reimmessa nell’ambiente. Bisogna intervenire per correggere il pH dell’acqua: lo si può rendere neutro il pH introducendo un acido (solforico o cloridrico) oppure utilizzando la CO2, che è più sicura e lascia meno residui.

A questo punto l’acqua, con il pH neutro, avrebbe completato il ciclo di depurazione e potrebbe teoricamente venire reimmessa nell’ambiente.

L’ultimo passaggio con l’ozono completa l’opera

Recenti analisi approfondite hanno però confermato che durante il processo, anche a causa della presenza di azoto in alcuni additivi utilizzati nelle lavorazioni di decapaggio, a determinate condizioni si possono formare nitriti, che sono composti dell’azoto particolarmente inquinanti.

Per queste sostanze la normativa vigente sulla depurazione delle acque fissa un limite molto basso: 0,6 milligrammi di azoto nitroso per ogni litro d’acqua.

L’acqua contenente nitriti (formula chimica NO2 ) oltre la soglia non è scaricabile in ambiente.

Per risolvere il problema ed eliminare i nitriti Siad ha proposto all’azienda l’impiego di ozono durante il processo

L’ozono (O3) – prodotto in loco partendo dall’ossigeno puro che viene fatto attraversare da scariche elettriche – reagisce con i nitriti, ossidandoli e trasformandoli in nitrati (NO3): la reazione comporta la completa eliminazione dei nitriti e l’emissione, durante il processo, di molecole di ossigeno.

I nitrati, normalmente utilizzati in agricoltura come concimi, sono molto meno tossici e l’acqua che li contiene può essere reimmessa nell’ambiente. La legge fissa per i nitrati (o azoto nitrico) valori limite di 30 milligrammi per litro (circa 50 volte superiori ai valori ammessi per i nitriti).

Questo tipo di depurazione non crea nuove sostanze ma semplicemente trasforma quelle esistenti in altre meno impattanti.

Per completare la depurazione delle acque che escono dall’azienda di decapaggio sono quindi state realizzate da Siad due colonne di reazione alte 6,5 metri: l’acqua con pH neutro (ma che contiene nitriti) le attraversa e reagisce con l’ozono. Al termine della trasformazione può finalmente essere reimmessa nell’ambiente.

Il processo, prima della realizzazione sul campo, è stato testato dai tecnici del Gruppo Siad nel Laboratorio di biologia e chimica ambientale che ha attualmente sede al Polo per l’innovazione tecnologica di Dalmine. In questo modo si è potuto valutare quanto ozono era necessario immettere nel sistema delle colonne per ossidare completamente i nitriti disciolti nell’acqua e quanto doveva durare il processo per permettere la reazione.

Poi si è passati alla realizzazione dell’impianto vero e proprio che è diventato operativo all’inizio del 2021. Il sistema dosa in automatico la portata dell’ozono in base alla quantità di acqua da trattare e in base alla concentrazione dei nitriti in essa disciolti, concentrazione che cambia anche in base alle lavorazioni in corso.

Il progetto è stato già duplicato con successo e reso operativo nel corso del 2021 anche in un altro sito produttivo.